In memoria di mons. Sergio Moretto
Dico subito che non riuscirò ad essere neutrale perché don
Sergio è stato il mio parroco.
È arrivato a Porcia quando avevo dieci anni, dopo essere stato parroco a Marsure,
Assistente Azione di Cattolica diocesana, direttore della Casa Madonna Pellegrina.
Mi sono accostato a lui facendo quanto serviva per la Comunità e, questo tempo, mi
ha permesso di capire molte sue scelte e scrutare, con lo sguardo del cuore,
le ragioni di ogni suo gesto. La sua testimonianza di uomo e di prete ha alimentato
in me il sogno che Dio mi aveva riservato: diventare sacerdote.
La sua canonica era la nostra casa: sempre aperta, accogliente, gioiosa. La zia di
don Sergio poi, non faceva mancare dolci per quanti andavano in canonica a lavorare con lui.
E quanta gente è passata! Quanta gente ha saputo coinvolgere, tanto da creare quel gruppo di
volontari ancora oggi lo zoccolo duro del volontariato di Porcia.
Come dice spesso papa Francesco, don Sergio è stato un
"pastore con l'odore delle pecore". Con i suoi vestiti lucidi e le
scarpe logore, correva ovunque. Aveva la passione e la gioia di sentirsi "padre" di una
Comunità. Non si è mai risparmiato pur di raggiungere gli altri: sempre pronto ad andare
a trovare anziani o malati in ospedale, e per loro dedicare settimane residenziali nella
casa Alpina di Barcis. Ricordo ancora oggi la sua folle corsa di tre giorni in auto
Porcia-Lourdes pur di stare accanto a una ragazza disabile nel giorno della sua prima
Comunione nel luogo delle apparizioni!
Per i ragazzi e i giovani avviò l'Azione Cattolica e rifondò lo scoutismo, dopo aver
partecipato al cammino formativo per Capi, pur di capire dall'interno l'autentica
dimensione ecclesiale dello scoutismo stesso. In tempi in qui ancora non si era soliti
dotarsi di una casa in montagna, don Sergio osò proporre l'acquisto di un vecchio rudere
a Barcis, per trasformarlo nell'attuale Casa Alpina parrocchiale, offrendo così ai giovani
e alle famiglie un punto di ritrovo vicino casa, per organizzare campi scuola o feste di
Comunità. Una delle sue priorità fu l'oratorio che in parrocchia era ormai fuori norma e
non funzionale. Decise così di investire l'eredità ricevuta dai suoi per acquistare il
terreno accanto alla chiesa, dove poi verrà realizzato il nuovo oratorio, circondato,
per suo desiderio e intuizione, da una cinta muraria, coerente con il contesto
storico-urbanistico della città, realizzato da un gruppo di volontari.
Raccolse da don Felice Bozzet l'impegno del Cammino Neocatecumenale, che seguì con
responsabilità e passione, sapendo coinvolgere i suoi membri all'interno della vita
comunitaria.
Tutti lo ricordano per la sua passione nei restauri, tanto da essere soprannominato
"don muretto", ma ciò che muoveva don Sergio in quelle scelte, era garantire alla Comunità
strutture sicure, ordinate e a norma. Senza strutture, diceva, non hai luoghi per
ritrovarti: ma se le strutture non sono in sicurezza, sei un incosciente. E lui si è
ritrovato nel tempo del post terremoto del Friuli, con tutte le strutture alle quali
metter mano. Accanto a sicurezza e funzionalità, per la chiesa lui desiderava anche la
"bellezza", convinto quanto mai che questa doveva riflettere e nello stesso tempo portare
alla Bellezza di Dio. Da qui nasceva anche la cura della liturgia. Ci teneva che le
celebrazioni che fossero belle e curate.
Ogni lavoro che realizzava aveva come seguito un libro, perché era convinto dell'importanza
di lasciare traccia ai posteri: non erano solo libri di storia, ma desiderava comunicare
quanto era importante passare dalle pietre alla preghiera. Anche i suoi innumerevoli viaggi
erano sempre accompagnati dallo studio dei luoghi e da un minimo di conoscenza della lingua.
Era bravo in inglese, perché trascorse un anno a Londra col progetto di partire poi per la
nuova missione diocesana in Kenya ma, a causa di problemi familiari, dovette interrompere.
Ma come era solito affermare, voleva dire che Dio aveva per lui un altro disegno.
In 40 anni di servizio pastorale come parroco don Sergio ha visto quattro "suoi" giovani
diventare sacerdoti (a Porcia don Fabrizio De Toni, io e don Filippo Perin, salesiano;
a Cesarolo don Andrea Ormenese) e altri 42 giovani neocatecumenali, in qualità di animatore
spirituale, diventare sacerdoti legati al movimento.
Oggi si parla del progetto "Dopo di noi" per garantire alle famiglie con figli portatori
d'handicap una sicurezza per i loro figli, una volta usciti da Centri specializzati o per
quando i genitori moriranno. Don Sergio, con alcune famiglie di Porcia, fu tra i promotori
del Centro II Giglio, cooperativa a servizio di questi giovani per dare serenità alle loro
famiglie. Con questo stesso spirito, valorizzò il carisma delle suore del beato Caburlotto,
e partecipò alla fondazione dell'Associazione Arcobaleno e della relativa Casa famiglia,
affinché i bambini con qualche difficoltà, non venissero allontanati dal territorio.
Trasferito a Bibione, presso il Centro Pastorale Diocesano Santo Stefano,
col suo sorriso e la sua amabilità, divenne un punto di riferimento per i tanti turisti che
frequentavano l'Albergo e partecipavano alle sante Messe, qui, come presso il Centro Pasotto a
Lido dei Pini. Ad un certo punto il Vescovo gli chiese di assumere anche l'incarico di parroco di
Cesarolo, e così si ritrovò nuovamente immerso nell'avviare tutti i lavori di ristrutturazione
degli edifici: chiesa, oratorio, cappelle... sempre senza mancare di affiancarsi a malati e anziani,
ragazzi e giovani. Tra le tante cose, ricordo l'intuizione e la realizzazione dell'Isola della
Madonna del Mare, a Terzo Bacino: seppe coinvolgere Istituzioni e volontari per offrire un luogo
di "ristoro spirituale" nel cuore della laguna, istituendo anche la festa annuale a fine estate.
L'ultimo periodo e servizio della sua vita è stato presso il santuario di Marsure, realtà che
gli resterà nel cuore fino all'ultimo, tanto da desiderare e scegliere questo luogo per il suo
funerale. Anche in questo contesto ha saputo farsi amare per il suo modo accogliente e gentile,
la sua parola illuminante e comprensiva, il suo predicare chiaro e positivo. Molti lo ricordano
come un confessore attento e libero, accogliente e misericordioso: mai una parola giudicante, mai
uno sguardo umiliante, consapevole di essere un semplice strumento nelle mani di Dio. E così sarà
con le monache benedettine di Poffabro: nel cimitero di questo paese ha scelto di essere sepolto
per stare tra la sua gente e accanto alle "sue" monache. L'attenzione e la valorizzazione della
vita religiosa sarà un suo tratto caratteristico in ogni parrocchia e realtà dove lui è stato.
Ha fatto tanto nella sua vita, sempre con gioia e passione. Soprattutto ha mostrato una vita
donata a Cristo e ai fratelli, senza mai risparmiarsi pur di arrivare a tutti. Lo ricordo nelle
sue ore di preghiera, tempo prezioso e riservato, che sempre si ritagliava e dalla quale, mi diceva,
trovava forza ragione e gioia per fare tutto. Il sabato lo trovavi sempre in chiesa: pregava,
passeggiava, leggeva.
Affrontò le cure che la sua ultima malattia richiedeva con serenità e, saputo di non poter far altro,
accettò la proposta di seguire una cura sperimentale. Disse ai medici: "Ho donato tutta la mia
vita a Dio. Se la medicina mi chiede oggi questo, offro questi ultimi mesi per sperimentare un
farmaco che forse potrà essere utile a chi verrà". Una settimana fa, saputo che non si poteva più
proseguire, salutati i suoi cari più prossimi, con una telefonata o lasciando un breve scritto, si
è affidato al buon Dio. Una testimonianza per la quale medici e infermieri della via di Natale
sono rimasti toccati ed edificati.
Aveva anche i suoi difetti. Brontolava, si lamentava delle scelte nei suoi riguardi (e più di
qualche volta aveva ragione!)... ma questo lo rendeva umano!
Se oggi sono sacerdote lo devo certamente al buon Dio che mi ha scelto e chiamato, ma lo devo anche
a chi mi ha mostrato con la vita che essere sacerdote è bello e realizzante. Don Sergio è stato
tutto questo: un innamorato di Dio. Un prete felice fino all'ultimo. Fino a pochi minuti prima
della morte, attorno al suo letto, "casualmente", eravamo tre dei quattro "suoi" sacerdoti:
abbiamo pregato e gli abbiamo dato insieme la benedizione del Signore. Un ultimo dono a lui, un
ultimo dono a noi.
don Andrea Vena
Mons. Sergio Moretto
14.III.1937-26.VIII.2022
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Il Papa consacra Russia e Ucraina al Cuore immacolato di Maria
Venerdì 25 marzo 2022, durante la celebrazione della Penitenza che presiede alle 17 nella
basilica di San Pietro, papa Francesco consacra all’Immacolato Cuore di Maria la Russia e
l’Ucraina. Lo stesso atto, in questo stesso giorno, è compiuto a Fatima dal cardinale
Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, come inviato dal Santo Padre. Non è casuale
naturalmente la scelta della data per la consacrazione: il 25 marzo infatti la festa
dell’Annunciazione del Signore.
La richiesta della consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Maria arriva proprio da
Fatima, dove fu la Madonna in persona ad avanzarla durante l’apparizione del 13 luglio 1917,
e per tutti questi anni è rimasto aperto l’interrogativo se la Vergine fosse stata esaudita o
meno. Eppure le parole consegnate dalla Madre di Dio ai tre pastorelli portoghesi annunciavano
chiaramente che, qualora la richiesta non fosse stata accolta con precisione, la Russia avrebbe
diffuso «i suoi errori per il mondo, promuovendo guerre e persecuzioni alla Chiesa. I buoni
saranno martirizzati, il Santo Padre avrà molto da soffrire, varie nazioni saranno distrutte».
La consacrazione della Russia al Cuore immacolato di Maria avrebbe dovuto essere pronunciata dal
Santo Padre «in unione con tutti i vescovi di mondo» e «promettendo di salvarla con questo mezzo».
Negli anni successivi all’apparizione del 1917, tre diversi papi – Pio XII nel 1942 e 1952,
Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 1981 e il 25 marzo 1984.
Papa Francesco dunque, con la decisione annunciata oggi, vuole ribadire il suo «giudizio
perfettamente aderente alla situazione» sulla guerra tra Russia e Ucraina, espresso prima con
la richiesta di preghiera e digiuno per la pace, poi con l’appello, domenica scorsa durante
l’Angelus in piazza San Pietro, a «fermare il massacro».
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